… amo quest’uomo!
Introduzione di JOHN D. MACDONALD a A volte ritornano di STEPHEN KING
Spesso alle feste (dove evito di andare, se appena appena è possibile) incontro gente che mentre mi stringe la mano, sfoderando un gran sorriso, mi confida con un’aria di allegra cospirazione: «Sa, ho sempre desiderato scrivere.»
Un tempo, mi sforzavo di mostrarmi cortese.
Oggi, con la stessa giubilante euforia, rispondo: «Sa, ho sempre desiderato fare il neurochirurgo.»
Mi guardano disorientati. Non importa. Ce n’è tanta di gente disorientata, in giro per il mondo.
Se uno vuole scrivere, che scriva.
Il solo modo per imparare a scrivere è scrivere. E non sarebbe la strada migliore per chi volesse dedicarsi alla neurochirurgia.
Stephen King ha sempre desiderato scrivere. E scrive.
Così ha scritto Carrie; Le notti di Salem, Una splendida festa di morte, e tutti gli ottimi racconti che potete leggere in questo libro, più un incredibile numero di novelle, libri, frammenti, poesie, saggi e altre cose inclassificabili, la maggior parte delle quali troppo pietose per essere date alla stampa.
Perché è così che bisogna fare.
Non c’è altro modo. Nessun altro modo.
La diligenza forzata è quasi sufficiente. Ma non basta. Bisogna avere il gusto delle parole. Esserne ghiotti. Bisogna desiderare di rotolarcisi dentro.
Bisogna leggerne milioni, scritte da altri.
Bisogna leggere tutto con divorante invidia o con annoiato disprezzo.
Il disprezzo maggiore lo riserviamo a quelli che nascondono l’inettitudine dietro i paroloni, la costruzione pesante, i simboli invadenti, e non hanno alcun senso della storia, del ritmo, del personaggio.
Poi, bisogna conoscere così bene se stessi da cominciare a conoscere gli altri. C’è un pezzo di noi in ogni persona che ci capita di incontrare.
Bene, allora: diligenza eccezionale, più amore per le parole, più immedesimazione. Da tutto questo può uscire, a fatica, una certa oggettività.
Mai l’oggettività totale.
In questo fragile istante, mentre batto con la mia macchina da scrivere azzurrina queste parole (sette righe a partire dall’alto della seconda cartella della mia introduzione) so perfettamente qual è il tono e il concetto del quale sono a caccia, ma non sono affatto sicuro di arrivarci.
Avendo il doppio degli anni di Stephen King, ho un po’ più di oggettività riguardo al mio lavoro di quanta ne abbia lui per il suo.
La si acquista in modo così faticoso e così lento.
Mandi i tuoi libri per il mondo e ti è difficilissimo scrollarteli via dallo spirito. Sono creature imbranate, cercano di farsi strada nonostante gli handicap che tu gli hai imposto. Non so cosa darei per riaverli tutti a casa e dare un’ultima buona spinta a ciascuno di essi. Pagina per pagina. Scavando e sfoltendo, spazzolando e lustrando. Dando una ripulita.
Stephen King è uno scrittore di gran lunga migliore, a trent’anni, di quanto non fossi io a trenta o a quaranta.
Ho il diritto di odiarlo un pochino, per questo.
Credo di conoscere almeno una decina dei demoni acquattati tra i cespugli ai lati del suo cammino, ma se anche potessi metterlo in guardia, non servirebbe a niente. O li frusta lui, o saranno loro a frustarlo.
È proprio così semplice, sissignore.
Mi avete seguito, fin qui?
Diligenza, amore per le parole, immedesimazione uguale a obiettività crescente… e poi?
La storia. La storia, maledizione!
Una storia è qualcosa che accade a qualcuno al quale avete finito per affezionarvi. Può svolgersi in qualsiasi dimensione (fisica, mentale, spirituale) e in combinazioni di quelle dimensioni.
Senza intrusione da parte dell’autore.
L’intrusione dell’autore è: «Mio dio, mamma, guarda come so scrivere bene!»
Un altro genere di intrusione è il grottesco. Eccovi uno dei miei esempi favoriti, colto in un bestseller dell’anno scorso: «I suoi occhi scivolarono giù per il davanti dell’abito di lei.»
L’intrusione dell’autore è anche una frase talmente inetta per cui il lettore si accorge improvvisamente che sta leggendo, e si ritira dalla storia. Ne esce, perché ha provato uno choc.
Altra intrusione dell’autore, la miniconferenza inserita nella storia. Questo è uno dei miei difetti più deplorevoli.
Un’immagine può essere limpida anche se inaspettata, e non rompere l’incanto. In un racconto di questo libro intitolato Camion, Stephen King narra una scena d’attesa carica di tensione in un posto di ristoro per camionisti e descrive la gente: «Era un commesso viaggiatore e teneva la valigia del campionario vicino a sé, come un cagnolino che si fosse messo a dormire.»
La trovo un’immagine nitida.
In un altro racconto dimostra d’avere orecchio, di saper dare al dialogo un suono di precisione e di verità. Un uomo e sua moglie stanno affrontando un lungo viaggio. Percorrono una strada secondaria. Lei dice: «Sì, Burt. Lo so che siamo nel Nebraska, Burt. Ma dove diavolo siamo?» E lui: «Ce l’hai tu la cartina, no? Cerca. Non sai leggere?»
Bello. Così semplice, sembra. Proprio come la neurochirurgia. Il coltello ha un lato affilato. Lo tieni così. E tagli.
Ora, a rischio di passare per iconoclasta, dirò che non m’importa un bel niente del campo che Stephen King ha scelto per scrivere. Il fatto che ora si diverta a scrivere di spettri, incantesimi e ruzzoloni in cantina è per me la cosa meno utile e meno importante che si possa riferire sul conto suo.
Se ne fanno di ruzzoloni, qui, e c’è un compressore impazzito che mi ossessiona, e ossessionerà voi, e ci sono tanti bambini chiaramente diabolici da riempire Disney World per quattro domeniche di fila. Ma quello che conta è la storia.
Ci si appassiona per forza.
Due dei generi più difficili in cui cimentarsi sono l’humour e l’occulto. In mani incapaci, l’humour diventa funebre e l’occulto diventa comico.
Ma una volta scoperto il metodo si scrive in tutti i campi.
Stephen King non ha certo intenzione di limitarsi al genere per il quale prova oggi questo vivo interesse.
Uno dei racconti più vivi e impressionanti di questo libro è L’ultimo piolo della scala. Una gemma. Non un fruscio né un alito d’altri mondi, dentro.
Ancora una parola.
King non scrive per piacere a voi. Scrive per piacere a se stesso. Io scrivo per piacere a me stesso. Quando si fa così, il lavoro piace di certo anche a voi. Questi racconti piacevano a Stephen King e sono piaciuti a me.
Per una strana coincidenza, oggi il romanzo Una splendida festa di morte di Stephen King e il romanzo mio, Condominium, sono entrambi sull’elenco dei bestseller. Non siamo in gara tra noi per rubare la vostra attenzione. Siamo in gara, immagino, con i libri inetti, pretenziosi e sensazionali pubblicati da editori che non si sono mai preoccupati di imparare il proprio mestiere.
Per quanto riguarda una storia, e nel piacere di leggerla, non ci saranno mai abbastanza Stephen King in circolazione.
Se avete letto questo sproloquio da cima a fondo, mi auguro che abbiate tempo in abbondanza. Altrimenti avreste fatto meglio a leggere i racconti.
JOHN D. MACDONALD