Dietro le quarte – e così mi hanno preso in bottega!

E’ la prima volta che faccio una cosa del genere, nel senso di: investire economicamente ed emotivamente nella scrittura. Erano settimane che aspettavo il 6 novembre temendo di ricevere una mail che dicesse ‘siamo spiacenti tono cortese risultato non cambia’. E invece mi hanno presa. Alla Bottega di narrazione! E ora mi tocca mettermi a scrivere seriamente!! XDXD

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Mi sono candidata con un progetto embrionale di nome ‘Ruggine’ (dopo ‘Cenere’ sembra perfetto, no?) il cui incipit _molto provvisorio_ fa più o meno così:

Non mi piaceva toccare la ruggine, avevo paura che fosse contagiosa. Entrai in quella stanza in zona Maciachini a Milano, mio fratello aveva aperto la porta, io entrai e la prima cosa che vidi fu la finestra. Coperta di ruggine. Era quasi il tramonto, entrava una luce oleosa ed era pieno di particelle dorate di polvere. Faceva un caldo infernale, l’aria era completamente immobile, tutto era sospeso e io mi sentivo così, come una pala eolica ferma.

Tolsi la sciarpa, una di quelle vaporose che si portano in primavera, la tolsi con rabbia, soffocavo, e la usai per aprire la finestra senza toccarla. Entrò un alito di vento e vidi che c’erano due materassi per terra, una lampadina che pendeva tutta nuda dal soffitto. Guardai mio fratello.

– Andrà bene – dissi. – Andrà tutto bene – dissi.

Conobbi mio fratello quando eravamo già ragazzini, forse è per questo che odio mia madre, anche adesso che è morta. Al parco, in estate, con l’erba secca e i vecchi giochi dei bambini roventi di metallo. Era Sartre che diceva che alle tre del pomeriggio non si può fare niente, solo dormire? In estate è ancora peggio, c’è un sole che brucia gli occhi e i pensieri dietro agli occhi. Conobbi anche mio padre, quel giorno. Da qualche tempo mia madre era strana, ero piccola ma avevo capito che frequentava un uomo diverso dai soliti, uno che avrebbe anche potuto ammazzarla, forse ci speravo. Era mio padre, quello. – Ci siamo riavvicinati molto – mi disse portandomi al parco.

Quindi sapevo che l’uomo bello e vecchio coi lineamenti da pescatore era mio padre, e sapevo che il ragazzino con la maglietta nera era mio fratello. Erano tanti anni fa, provavo dei sentimenti confusi, ero un po’ tesa ma non d’aspettativa. A quel tempo nel mio stomaco era già nata la rabbia, mia madre l’aveva fatta nascere. Ero pronta a odiarli, avevo tutta l’anima rilassata e pronta a odiare.

Non mi ricordo cosa dissero per presentarci, ma mi ricordo il suono della sua voce. – Sono Luca – disse quel ragazzino, mio fratello, con una voce che mi fece vibrare le labbra mentre rispondevo che ero Laila. Luca e Laila, pensai, Laila e Luca. Forse prendemmo un gelato, certamente ignorai mio padre, quasi certamente anche mia madre. Ricordo solo che volevo bruciare.

Tornammo a casa tutti insieme. Mio padre e mio fratello avevano le valigie in macchina. Mia madre era di buon umore, per molte settimane si bucò con moderazione, non s’infuriò, non mi spense addosso cicche di sigaretta per dimostrarmi quanto fosse duro il mondo e la mia pelle iniziò a guarire. A volte preparò anche la colazione. Io passavo il tempo con Luca, mi faceva ascoltare i Nirvana. Lo amavo molto. Smisi di scarnificarmi, ricominciai ad andare a scuola. Fu una sciocchezza, come sempre, a far saltare i nervi a mia madre.

Era il nostro compleanno, mio e di Luca perché eravamo gemelli, così ci dissero. Era l’inizio di settembre, faceva ancora caldo e decisero di fare una festa in piscina. La piscina comunale, ovviamente, ce n’era una sola a F. Iniziarono a parlarne la settimana prima, a cena, si mangiavano spaghetti aglio olio e peperoncino. Non ne ho più mangiati, mai, neanche alle quattro della mattina dopo le feste, neanche se mi prendevano per il culo ferocemente. Li arrotolavo sulla forchetta e mi concentravo sui piccoli semi di peperoncino e i pezzetti d’aglio, tenevo gli occhi bassi. La cosa peggiore era sentirmi patetica, non ho mai smesso, dopo quel giorno, di sentirmi così. Piccola e inutile e patetica. Una festa in piscina. Non dissi niente finché mia madre mi diede un buffetto sulla spalla. Affettuoso.

– Domani andiamo a comprare un nuovo costumino, va bene tesoro?

Iniziai freneticamente a ingollare spaghetti e saliva, tutti mi guardavano, non ero abituata a mangiare in quattro, mi sembrava una folla, mi sembrava di essere un fenomeno da baraccone, ero così confusa, non riuscivo a pensare e dissi: – Ma mamma, le bruciature.

Osai sollevare lo sguardo, tremavo di vergogna. La sua faccia si deformò sotto i miei occhi, così familiare.

– Scusa – squittii pur sapendo che avrei fatto peggio solo che non riuscivo a fermarmi, era come una litania che impattava dallo stomaco alla gola scusa scusa scusa scusa. Per fortuna arrivò un ceffone ad arginare quello spettacolo pietoso. Poi un altro che mi fece cadere dalla sedia. Sputai spaghetti con l’aglio che mi raschiava la gola. In un attimo lei era sopra di me con quella faccia sudata e tesa, io mi voltai di lato per non vederla e incontrai gli occhi neri di Luca. Non distoglieva lo sguardo, era lì, fisso e immutabile. A ogni colpo il mio corpo vibrava tutto ma tornavo a voltarmi per trovare quegli occhi. Luca e Laila, pensavo mentre la mano si alzava, Laila e Luca quando la pelle bruciava e gli occhi piangevano la vista si annebbiava ma riuscivo sempre a intravedere gli occhi neri di mio fratello.

La prima volta che notai la ruggine, molti anni dopo, era sul treno per Milano scappando dal paese in cui giaceva, sepolto in giardino, nostro zio. Dapprima sulle rotaie, iniziai a notare che erano coperte di quella patina marrone aranciato metallico. Mi fece paura da subito, mi faceva formicolare la pelle di ribrezzo. Ora mi chiedo se in realtà non fosse sempre stata lì, o se invece non esistesse affatto, ma sono sofismi. Anche mio fratello la vedeva, glielo chiesi. Lo feci apposta.

Leggerino, no? 😛 Wish me good luck!!

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