Camminavamo lungo il fiume, poco dopo il tramonto con i grilli che iniziavano a frinire e il caldo che iniziava a diventare frescura.
– Non capisco perché mi abbia detto questo, perché ti faccia sentire così – disse lui e io, scioccamente, cercai di spiegare ma allo stesso tempo mi rimangiai tutto.
– Mi dispiace – dissi. – Sono un po’ matta.
È che mi preoccupo sempre troppo per gli altri. Per lui, in questo caso. Non riesco bene a distinguere cosa sia legittimo e cosa no.
A volte mi sento riempire da una vertigine mentale. Inizia come tristezza e si trasforma in un’incoerenza logica passando a volte per una terribile sensazione di vuoto. Quando mi succede questo, come quella sera prima d’incontrarlo, ho paura di trascinare un’altra persona nel mio vortice di paranoia, mi chiedo: è contagiosa?
Quindi, per proteggerlo, ho rinunciato alla mia forza, gli ho dato potere su di me e lui lo sta usando per farmi del male.
Riconoscere questi meccanismi non li rende meno odiosi, o dolorosi. Eppure il dolore è sopportabile, anche se mi chiedo se le alternative debbano essere dolore o noia.
Nel villaggio dove ero bloccata da un anno, ma che per fortuna avrei lasciato in pochi giorni, c’era un festival di musica organizzato da persone che conoscevo, incluso lui e un altro ragazzo con cui avevo passato una notte.
A mia discolpa posso dire che, a quel punto, lo odiavo.
Così chiamai quest’altro ragazzo, la sera prima, per bere e poi lo portai a casa con me. Era carino, sapevo che il sesso non sarebbe stato male e volevo perdermi per qualche ora nell’estasi ubriaca di sudore e penetrazione. Tirai fuori del gelato al cioccolato, per giocare un po’, e gli sporcai la maglietta. – Oh, scusa, che idiota, te ne do un’altra.
E tirai fuori una maglietta che mi aveva regalato lui, il mio odiato, per qualche ragione che non ho mai capito. Gli andava bene, certo. Gli dissi di tenerla il giorno dopo al festival, così non sarebbe dovuto tornare a casa a cambiarsi.
Quando l’altro la vide la sua faccia fu impagabile, sarebbe bastata da sola a soddisfarmi, davvero. La sua maglietta, indossata da un altro. Però venne a parlarmi, lo sfrontato, completamente ignaro del motivo per cui lo trattassi così male.
– Oddio, scusami – dissi, e sono molto brava a plasmare la faccia in espressioni mortificate, sarà stato l’allenamento infantile. – Sono un’idiota, ti prego, ti chiedo scusa, davvero – e la chicca finale. – Mi ero completamente dimenticata che fosse tua.
Poi però non ce la feci, le mie labbra si torsero in un sorriso scoprendo i denti e gli occhi iniziarono a ridere. – No, non è vero. L’ho fatto apposta. Per ferirti. Passa una splendida giornata.