
Sai che c’è sempre il momento fatidico in cui arrivi alla _quasi_ fine di un romanzo, no? Iniziare è facile, sei pieno di entusiasmo, continuare è faticoso ma sei nel pieno dell’azione, hai una propulsione che deriva dal terrore di mollare tutto, se ti fai prendere da una crisi a metà romanzo è la morte, finirà nella temuta e odiata cartella ‘progetti accantonati’ che divora senza pietà i tuoi tessori. Ma agli ultimi capitoli puoi rilassarti, ormai sei sicuro che arriverai in fondo, è un rapporto molto intimo se ci pensi, no? Arrivi a un certo punto e beh, insomma, lo sai che concluderai in bellezza, per così dire, quindi ti dici: ragazzi, ci siamo.
Però poi sovviene, almeno a me, il pensiero che se l’ultimo capitolo viene una merda tutto il lavoro precedente sarà vanificato. Chi non odia i libri con un finale orrendo? Piatto, insulso, che lo sfortunato lettore si dice: ma che cazz…
Ecco, sono a quel punto lì. Il mio adorato file ‘cenere 2.0′ è aperto a pagina 59 (times new roman 12, 189.000 caratteri circa) e ho paura di scrivere un finale orrendo. Non a livello di trama, so cosa deve succedere e ci sta’, ma come stile. Ho riletto i primi capitoli e ho pensato: cavolo (cioè ho pensato un’altra parola ma non mi sembra il caso di esagerare con la volgarità gratuita, che peraltro apprezzo molto ma insomma), quando scrivevo questa roba qui ero davvero ispirata. Ora come faccio a scrivere un finale altrettanto ispirato?
Geniale, no? Tipico mio. Ho i complessi di inferiorità anche verso me stessa. Comunque niente panico, vecchia mia, poche storie e mettiti a ticchettare. Eddai, su! Che bisogna finire… maledetta tastiera…