La premessa.
A Brisighella, borghetto medievale famoso per la sagra della pera volpina, dopo 70 anni di sinistra, le elezioni sono state vinte da una giunta di destra.
Il nuovo sindaco di Brisighella, il 1 Novembre 2019, ha commemorato i morti della Repubblica Sociale italiana, o Repubblica di Salò (Wikipedia), ovvero il regime nazista guidato da Mussolini tra il 43 e il 45.
Questo post, e questa rubrica, costituiscono la nostra risposta.
La Battaglia di Purocielo.

Fu la più eroica e sanguinosa battaglia combattuta dalla 36a brigata Garibaldi.
Durò dal 9 al 12 ottobre 1944 nella valle di Santa Maria di Purocielo (Brisighella – RA).
Dopo la decisione presa dal CUMER (comando regionale delle formazioni partigiane), in previsione dell’insurrezione, i quattro battaglioni della brigata dovevano convergere su Bologna, Imola e Faenza, mentre uno sarebbe dovuto andare a sud verso gli alleati.
Ai primi d’ottobre – dopo i durissimi scontri del mese precedente – il II e il IV battaglione si spostarono verso sud-est per incontrarsi con gli alleati, dopo avere abbandonato la direttiva del CUMER di puntare alla liberazione delle città poste sulla via Emilia.
I partigiani, circa 700, erano guidati da Luigi Tinti “Bob”, il comandante della brigata.
Il 9 ottobre giunsero nella valle del rio di Cò, tra il Senio e il Lamone, senza sospettare di essere finiti tra gli avamposti tedeschi e quelli alleati.
La mattina del 10, quando si spinsero verso Monte Vigo, trovarono la strada chiusa dai tedeschi. Li attendevano al varco, dopo averli circondati durante la notte.
Mentre ripiegavano verso Ca’ di Malanca, al fuoco tedesco si aggiunse quello alleato, i cui cannoni batterono per errore le posizioni della brigata.
All’alba dell’11 i tedeschi, guidati dai fascisti, arrivarono di sorpresa a Ca’ di Gostino, sede del comando, e seminarono la morte. Uccisero numerosi dirigenti della brigata, ma il comandante Luigi Tinti e altri riuscirono a forzare l’accerchiamento.
Per tutto il giorno si combatté nella valle i cui accessi erano controllati dai tedeschi e vano fu l’assalto verso Monte Colombo. L’unica via libera portava al nord, mentre gli alleati erano a sud.
I combattimenti proseguirono per tutta la giornata del 12, con i partigiani colpiti sia dai mortai tedeschi sia dall’artiglieria alleata. Anche se per il terzo giorno consecutivo erano riusciti a tenere i tedeschi fuori della valle, i partigiani si resero conto che la resistenza era alla fine. Le munizioni cominciavano a scarseggiare, mentre i caduti e i feriti erano decine. Dopo essersi consultato con i comandanti dei reparti, Tinti decise di uscire dalla valle a nord. I feriti più gravi, lasciati nella canonica della chiesa di Cavina (Fognano – RA) furono catturati dai tedeschi e uccisi dai fascisti.
I sei feriti non trasportabili non poterono seguire gli altri e gli infermieri, quattro uomini e una donna, restarono con loro. Successivamente furono fatti prigionieri dai tedeschi. Questi li rasportarono nell’Ospedale di Brisighella, ad esclusione di un tenente medico austriaco ucciso sul posto. Tuttavia, qualche giorno dopo, furono prelevati dagli uomini delle Brigate Nere di Faenza che li portarono nella Villa di San Prospero, dove li torturano a lungo. Poi, condotti a Bologna nel Poligono di tiro, furono fucilati. Tra questi, Nino Bordini di Faenza e Teodosio Toni di Solarolo. Una ragazza infermiera, Laura Guazzaloca, fu invece internata a Fossoli, dove morì di stenti poche settimane dopo.
Prima di iniziare la ritirata notturna Tinti disse ai suoi uomini: «Compagni c’è andata male. Ora dobbiamo partire da qui. Avremo ancora molto da camminare, e forse, anche da combattere prima di salvarci. Dobbiamo stare tutti uniti, dobbiamo stare tutti su con il morale, perché il minimo sbandamento può costare caro a tutti. Chi non se la sente può andare via, nessuno gli dirà niente. Voglio che ognuno decida liberamente. Si capisce che chi se ne va lascia qui le armi».
Se ne andarono in una trentina.
Nella notte tra il 13 e il 14 il gruppo puntò su Monte Tesoro poi, passando da Monte Melandro, raggiunse Modigliana (FO) e il 16 ottobre si incontrò con gli alleati a Monte Freddo.
In questa battaglia, l’ultima, la brigata perse 57 partigiani.
I partigiani morti nella battaglia di Purocielo sono ricordati a Ca’ di Malanca con un cippo commemorativo che riporta tutti i nomi, le città e le nazioni di origine dei deceduti.
Per saperne di più sulla Battaglia di Purocielo
- Ferruccio Montevecchi, La battaglia di Purocielo, Galeati, 1980
- Luciano Bergonzini, Quelli che non si arresero, Editori Riuniti, 1957
- Ettore Calderoni (Cow Boy), Qualcuno per raccontare il fatto, Galeati, 1976
- Nazario Galassi, Partigiani nella linea gotica, University press Bologna, 1998
- Marcella e Nazario Galassi, Resistenza e 36a Garibaldi, Editori Riuniti, 1957
- Sesto Liverani, Un anno di guerriglia, La Pietra, 1971
- Ferruccio Montevecchi, I contadini di Purocielo, Mobydick, 1999
Un pensiero su “La Battaglia di Purocielo [Storie di Resistenza]”